TORINO. Una chiesa nascosta sotto i portici di via Po.

La chiusura forzata di un museo non porta solamente ad aprire le porte delle collezioni tramite i social. C’è anche chi approfitta di questo periodo per meditare. E a pensare il proprio futuro ripartendo dalle origini.
È il caso della Fondazione Accorsi – Ometto, che in questi giorni sta rivalutando ambienti di grande fascino e assolutamente inediti da utilizzare come nuovi spazi espositivi. E lo fa andando a scavare nella propria storia. È un passato archeologico sorprendente, nascosto ma presente ancora oggi nelle fondamenta del palazzo che ospita il Museo di Arti Decorative di via Po.
SAA via po 2Percorrendo una scala da un portone laterale si potrebbe pensare di scendere in una banale cantina. Qui si apre in realtà un ambiente che lascia a bocca aperta: un lungo, ampio, corridoio voltato e sotterraneo. Siamo esattamente sotto il portico di via Po. La larghezza è la stessa del marciapiede sovrastante, la lunghezza copre l’intero palazzo Accorsi.
«Sono i sotterranei della Domus Padi (La Casa di Po) dei padri Antoniani – spiega il direttore della Fondazione Luca Mana –, gli stessi della Precettorìa di Ranverso, che qui fecero costruire un grande complesso dopo il 1616».
Per quasi duecento anni fu un punto di riferimento dell’Ordine per tutto il Nord Italia, comprendente una chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, oggi non più esistente, ma incorporata in alcuni punti nello stesso palazzo: parti delle fondamenta sono perfettamente visibili nel sotterraneo e la cripta è ancora conservata sotto l’attuale biglietteria, che a sua volta era la sagrestia. Su via Po sono ancora presenti due colonne (chiaramente corpi estranei dell’architettura del portico) che segnalavano l’ingresso alla chiesa.
L’abside arrotondata, come testimoniato dalla planimetria fornita dal consigliere della Fondazione ing. Luigi Quaranta, corrisponde a una sala degli uffici al primo piano, dove verranno scoperti gli affreschi di Michele Antonio Milocco.
Appena usciti dalla chiesa, sulla sinistra, vi era la barocca Porta di Po del Guarini, poi distrutta dai francesi, fornendo il primo impulso per la realizzazione dell’attuale piazza Vittorio.
«Trovandosi all’ingresso sud della città il complesso, con i suoi sotterranei, venne utilizzato dagli Antoniani per la cura degli infermi delle malattie contagiose, proprio come potrebbe capitare in questi giorni», precisa Mana, mentre medita a come valorizzare questo straordinario ambiente nel futuro museo che dirige.
Tra le malattie curate dai monaci Antoniani il celebre Fuoco di Sant’Antonio, morbo dovuto al virus della varicella. Il santo viene iconograficamente ritratto con un maiale. Le bestie venivano allevate scrupolosamente dai monaci al fine di prelevare il grasso deputato alla produzione di unguenti in grado di curare le profonde piaghe provocate dal Fuoco.
Nella «Guida di Torino» di Onorato Derossi del 1781 si può leggere l’ultima puntuale descrizione della chiesa.
Nel corso del ‘700 l’edificio viene rimodernato dall’architetto Bernardo Vittone, il pittore Vittorio Amedeo Rapous dipingerà una straordinaria pala d’altare nel 1780, oggi custodita nella chiesa di Santa Pelagia, in piazza Carlina.
Nella vicina chiesa della Santissima Annunziata si trova invece la statua seicentesca di Sant’Antonio attribuita a Bernardino Quadro. Una vera e propria diaspora delle opere d’arte presenti nella chiesa quando viene soppressa a inizio ‘800 (vedi: http://www.santantonioabate.afom.it/torino-ss-annunziata-statua-di-santantonio-abate/ – Ndr)

Autore: Andrea Parodi

Fonte: www.lastampa.it, 27 mar 2020