Dal QUADERNO DEL VOLONTARIATO CULTURALE – Numero 2 – Aprile 2002

La Precettoria di S. Antonio di Ranverso
Maria Gabriella Longhetti

 

Introduzione
Il nome Ranverso deriva dalla fusione di due parole, rio inverso (ruscello all’inverso, cioè a nord, all’ombra, contrapposto a indritto, a sud, al sole). Il complesso di S. Antonio di Ranverso come si presenta attualmente si è venuto formando nel corso dei secoli; esso comprende, oltre alla chiesa, anche l’ospedale, il convento, alcuni mulini e le cascine in cui risiedevano i fittavoli che coltivavano i terreni appartenenti alla Precettoria. La sua economia si fondava sui proventi delle terre coltivate e dei pascoli; i possedimenti, la cui origine sta in una donazione agli Antoniani (scheda 1) da parte del beato Umberto III conte di Savoia, andarono ampliandosi con gli anni grazie ad acquisti, lasciti testamentari e donazioni, tanto che S. Antonio di Ranverso divenne una potenza economica, anche se non paragonabile alla vicina Sacra di S. Michele, che vantava dipendenze, oltre che in Italia, anche in Francia e in Spagna. La chiesa venne fondata in prossimità della via Francigena (scheda 2) che, giungendo da Rivoli, passava sotto le mura del complesso religioso per poi dirigersi verso Avigliana; essa, attraverso la Val di Susa e i passi del Moncenisio e del Monginevro (scheda 3), collegava la Francia con la pianura padana e, passando per l’Italia centrale, con Roma. La scelta della località è stata determinata dagli scopi che il complesso religioso si prefiggeva: l’accoglienza ai viaggiatori e ai pellegrini (scheda 4) che percorrevano la via Francigena, e in particolare la cura dei malati, testimoniata dalla presenza dell’ospedale. La malattia che si curava in modo specifico era l’ergotismo, detto anche fuoco di S. Antonio; questo spiega perché Umberto III di Savoia, fondatore della Precettoria, abbia chiamato a risiedervi gli Antoniani, appartenenti ad un ordine ospedaliero fondato in Francia nel 1095 da un nobiluomo francese, il cui figlio era stato guarito dal fuoco di S. Antonio. Gli Antoniani si occupavano particolarmente della cura di questa malattia (che si manifesta come un’infezione cutanea), molto diffusa tra i poveri per motivi dovuti alla loro alimentazione: il fuoco di S. Antonio infatti era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta (veniva così chiamata la segale contaminata da un fungo, nella quale si sviluppava un alcaloide che provocava l’infezione). Gli Antoniani in origine erano infermieri e frati laici; solo nel 1297 divennero ordine di canonici, aderendo alla regola di S. Agostino. La sede dell’ordine antoniano era in Francia, a La Motte St. Didier (ora Bourg St. Antoine) in Delfinato, dove nel 1080 le reliquie di S. Antonio erano state trasportate da Costantinopoli; S. Antonio di Ranverso era una Precettoria, cioè una fondazione dipendente dalla casa madre, la chiesa abbaziale di Saint-Antoine-du-Viennois. Gli Antoniani usavano il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di S. Antonio, e per questo motivo erano stati autorizzati dal papato ad allevare maiali nei loro possedimenti: questo giustifica la raffigurazione di questi animali in uno degli affreschi all’interno della chiesa. La particolare natura del male curato (il fuoco, cioè un’infiammazione che colpisce i gangli delle radici nervose spinali), e le sue conseguenze (la cancrena con la frequente amputazione degli arti inferiori) spiegano il ricorrere negli affreschi di una fiamma stilizzata e di una ‘tau’, la lettera greca t, simbolo che è stato adottato dagli Antoniani perché, oltre a ricordare la croce, rappresenta la stampella usata dagli ammalati; inoltre la ‘tau’ allude alla parola thauma, che in greco antico significava “prodigio”. Accanto a questi due simboli compare anche una campanella, con la quale gli Antoniani annunciavano il loro arrivo durante gli spostamenti.

Allegato: studi_ranverso.pdf